
dal Passo Cibiana al Col Duro
di: Salvatore Stringari e Paola Gardin
Scheda Tecnica Riassuntiva
Data: 02-03-2019
Cima: Col Duro
Gruppo Montuoso: Dolomiti di Zoldo, Gruppo del Pelmo
Cartina: Tabacco foglio 025 Dolomiti di Zoldo, Cadorine e Agordine
Segnavia: CAI 694 e tracce
Tipologia sentiero e difficoltà*: Escursionistico Esperti in ambiente innevato
Quota partenza: 1475 m.s.l.m.
Quota da raggiungere: 2033 m.s.l.m.
Dislivello: m. 550
Tempo*: 5 ore (con neve e senza ciaspe)
Giro: A/R
Punti di appoggio: diversi al Passo Cibiana
Acqua, sorgenti: no (ruscelli)
Località: Passo Cibiana
Copertura cellulare: sì
Parcheggio/i: sì, uno spiazzo 1 km prima del Passo su strada provinciale 347
Partecipanti: Autori
Nota: * i tempi di percorrenza e le difficoltà sono in base alla propria preparazione psico-fisica e tecnico pratica, conoscenza del ambiente alpino, di progressione, movimento in ambiente alpino capacità di orientamento.
L’escursione in dettaglio:
Col Duro o Sovèle è il monte dal duplice nome posto al confine tra lo Zoldano e il Cadore. Quasi gemello del monte Punta che gli sta dirimpetto (già descritto in questo blog: 238 Pelmo Monte Punta (o Ponta) seppur molto diverso per conformazione, è una fantastica meta per una visione dalla “cima del mondo” di tantissimi monti, per primo il Pelmo.
dal Passo Cibiana al Col Duro
parcheggiamo l’auto un chilometro prima del passo di Cibiana, in uno spiazzo a bordo strada. La neve è quasi assente, per cui decidiamo di lasciare le ciaspe e di portare con noi i ramponi. Saliamo per poche decine di metri sullo stradone fino alla località “Quattro Tabià”, dove sulla sinistra parte la mulattiera – sentiero 694 CAI. Imbocchiamo questa comoda ex strada militare che aggira il Col d’Orlando in direzione nord-ovest sempre in moderata e costante salita. Superiamo una frana messa in sicurezza e proseguiamo inoltrandoci in Val Lumele. Siamo in mezzo ad un bosco di larici, abeti e faggi, purtroppo anche qui ci sono alberi abbattuti dalla tempesta di fine ottobre, notiamo anche una panchetta distrutta da una pianta caduta. Qualcuno però ha tagliato i tronchi caduti in mezzo alla mulattiera e passiamo senza troppi problemi. I ripidi pendii dalle parti sono privi di neve che invece si è accumulata sul sentiero, ci suona un campanellino d’allarme: vuoi vedere che serviranno le ciaspole? Ma oramai siamo in ballo e ci tocca continuare senza! Il sentiero prosegue in quota sopra la Val Inferna, il bosco dirada, raggiungiamo un punto panoramico con panchina e possiamo vedere a ovest la nostra meta, il Col Dur, sotto di noi verso sud la frazione di Cornigiàn lungo la provinciale e il piccolo agglomerato di Arsiera 290 Dolomiti di Zoldo i Masi di Arsiera, il paese abbandonato.

La mulattiera taglia una parete rocciosa, proseguiamo fino ad incontrare un cancello di legno, aperto, con la segnalazione del pascolo degli Yak. Poco dopo arriviamo alla testata della Val Inferna, un cartello indica la forcella pochi metri sopra. La neve è più alta, ma abbastanza dura, abbiamo impiegato circa un’ora per raggiungere forcella Inferna (detta anche forzéla de Dentre Mont) sorpassando schianti e piccole frane. Troviamo la segnaletica CAI che indica il Rifugio Talamini proseguendo diritti sulla mulattiera 694, a destra il Monte Rite con il sentiero 478 mentre la nostra meta, a sinistra, non ha numero. Andiamo a sinistra, il sentiero sale su una larga dorsale boscosa, dove incontriamo parecchi schianti, anche qui è passata la Tempesta Vaia e i già scarsi bolli rossi sugli alberi non sono più visibili. Fortunatamente troviamo tracce di ciaspole (i nostri amici Gino e Diella sono stati qui la scorsa settimana) che ci aiutano ad aggirare gli alberi caduti. Ci solleva un po’ la vista dell’Antelao che si erge alla nostra destra.

Proseguiamo per piccole valli e dossi rallentati dalle tante variazioni di percorso e dal nostro sprofondare nella neve, fino a raggiungere un innevato pianoro con meravigliosa vista sul Pelmo, sulla valle del Boite, sul Becco de Cuze, Sorapis e Antelao… Il bosco lascia spazio ai mughi, infinitamente traditori anche sotto la coltre bianca. Raggiungiamo i prati, ricoperti di neve, di Palui dopo l’avvallamento la salita si fa più ripida, la neve più alta e sprofondiamo fino all’inguine, maledicendo la nostra idea di lasciare le ciaspe in auto, ma non desistiamo. Superato il tratto più ostico arriviamo poco sotto la cima dove la neve, per nostra fortuna più compatta e ghiacciata, ci sorregge: quota e vento freddo ci han dato una mano! Arriviamo ad un larice secco e con un ultimo strappo giungiamo in cima 2033 m.s.l.m.

Grande è la soddisfazione per non aver mollato quando sprofondavamo nella neve, la nostra fatica è ripagata dal magnifico panorama sulle cime più belle delle Dolomiti. Il monte Pelmo è davanti a noi, si merita in pieno il nome di “Caregon del Padreterno”. E poi l’Antelao, le Tofane, la Marmolada e la Civetta. Forse meno famosi, ma altrettanto stupendi Bosconero, Sass di Toanella, Sfornioi, Moiazza, San Sebastiano, Tamer, Spiz di Mezzodì… È bello chiamarli per nome come vecchi amici, riconoscerli uno ad uno. Ci fermiamo poco sotto la vetta, segnata solo da una piccola croce di confine incisa su di un sasso, e facciamo la nostra sosta-panino. Continuiamo ad ammirare le cime e poi le valli sotto di noi, i paesi di Zoppè, Forno di Zoldo, San Vito di Cadore. Ci sembra di essere in cima al mondo e vorremmo fermarci qui per ore ad ammirare tutto questo, ma giunge l’ora del rientro che facciamo sulle stesse tracce di salita.
Autore/i: Salvatore Stringari e Paola Gardin
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Correzione testo di Paola G.
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