
Casera Ramezza Alta
di: Paola Marini Gardin
Scheda Tecnica Riassuntiva
Data: 15-06-2021
Cima: nessuna
Gruppo Montuoso: Vette Feltrine
Cartina: Tabacco foglio 023 Alpi Feltrine Le Vette-Cimonega
Segnavia: C.A.I 803
Tipologia sentiero e difficoltà*: Sentiero Escursionistico: (E) Sentiero privo di difficoltà tecniche che corrisponde in gran parte a mulattiere realizzate per scopi agro – silvo – pastorali, militari o a sentieri di accesso a rifugi o di collegamento fra valli vicine (nella scala di difficoltà C.A.I. è classificato E – itinerario escursionistico privo di difficoltà tecniche).
Quota partenza: 560 m.s.l.m
Quota da raggiungere: 1485 m.s.l.m
Dislivello: m. 925
Tempi di percorrenza*: 5-6 ore con le soste
Difficoltà: facile per allenati
Giro: A/R
Punti di appoggio: Casera Ramezza Alta
Acqua, sorgenti: sì, ma portarsi acqua
Località: Vignui
Copertura cellulare: sì
Parcheggio/i: sì
Tappe del percorso: Val di San Martino, Fornaci, Casera Ramezza Bassa, Casera Ramezza Alta, ritorno
Partecipanti: in solitaria
Nota: * i tempi di percorrenza e le difficoltà sono in base alla propria preparazione psico-fisica e tecnico pratica, conoscenza del ambiente alpino, di progressione, movimento in ambiente alpino capacità di orientamento.
L’escursione in dettaglio:
questa è la terza volta che torno in Val di San Martino, ne sono innamorata (vedi escursioni n.614 e 616 in questo blog).
Da Belluno arrivo a Vignui e percorro per intero la stradina sterrata (segnavia 803-812) che si addentra nella bella valle percorsa dal torrente Stien, supero la Chiesetta di San Martino e lascio l’auto in località Grava Bianca, m. 560 nello spiazzo prativo sotto al piccolo parcheggio, sono sola e qui la macchina è più visibile, non dovessi tornare…
Faccio lo stesso percorso delle due volte precedenti fino al bivio in località Fornace, m. 691, in prossimità di una calchera restaurata, qui continuo a destra per il ripido sentiero CAI 803 che sale nel bosco, ben sapendo che mi aspettano almeno due ore di sauna prima di arrivare alla meta (a sinistra sent. CAI 812 Pian dei Violini, Scalon delle Vette, Rifugio Dal Piaz e CAI 816 Scalon de Pietena, Passo Pietena, raccordi Alta Via n. 2)
alla Casera Ramezza
Il sentiero mi dà un momento di relax quando attraverso un rio su una passerella di legno, poi torna a salire senza darmi tregua. Pian piano il rumore del torrente si affievolisce, d’ora in poi mi accompagneranno solo i versi degli uccelli e i tramestii dei topolini, ne sono contenta, così non sento il fastidioso ronzio dei miei acufeni nelle orecchie.
Raggiungo una piccola radura dove vedo una tettoia con legname e attrezzi, dalla descrizione che ho letto dovrebbe essere Malga Ramezza Bassa a quota 1150 (in realtà la Malga è più a destra, non si vede nemmeno da qui), ma non avendo un altimetro mi sembra impossibile esserci arrivata così presto, non mi resta che fare la prova del nove, come a scuola. Se il posto è questo, verso ovest dovrei trovare una traccia che porta a un ruscello: vado in quella direzione e trovo un piccolo rio saltellante tra i sassi, l’ultima acqua su questo percorso.

Continuo in salita, sempre inesorabile, ma alla fine il bel bosco di faggi ha qualche slargo e purtroppo anche qualche zona con schianti, dove riesco a vedere il cielo, poi lascia il posto ai pini e ai mughi, sbuco al sole e arrivo alla bellissima radura di Malga Ramezza Alta, m. 1485, addossata a un enorme masso. Circa due ore e venti dalla partenza. Questa malga, posta ai piedi del Sasso di Scarnia e circondata da bellissime distese prative, in passato era molto importante per l’alpeggio.
Sono in acqua e come prima cosa mi cambio completamente, poi faccio un giro intorno al masso, poco distante c’è il letto sassoso di un rio asciutto, al riparo del grande sasso strapiombante un deposito dei legna e qualche attrezzo. Salgo sul masso e mi guardo intorno, i pascoli sono verdi e bellissimi, le fioriture sono ovunque, anche su questa roccia.
Scendo e entro nella piccola casera, ideale come punto d’appoggio, uno dei rari ripari delle Vette Feltrine. Ha un focolare, stoviglie, tavolo e panche e una buona scala conduce al soppalco dove potrei pernottare, se non a vessi i gatti che mi aspettano a casa.

“In questa Malga di Ramezza Alta subito dopo l’ 8 settembre 1943 trovarono rifugio i primi resistenti feltrini. La notte del 30 settembre 1944 per Giazèra, Fontanìe e Ramezza Bassa filtrarono indenni attraverso il rastrellamento nemico i partigiani della Brigata Gramsci, ponendo le basi della liberazione di Feltre il 1 maggio 1945”.
Questa targa è posta sulla parete della casera e l’episodio mi è noto perché ho letto un libro che parla dell’esperienza “partigiana” sulle Vette Feltrine del Maggiore Harold William “Bill” Tilman, marinaio, esploratore, alpinista.

Per il mio pranzo al sacco vado all’esterno, anche qui ci sono un tavolo e una panca dove mi accomodo. Dopo la pausa mi rimetto in moto, vorrei tanto arrivare almeno a Forcella Scarnia, a una ventina di minuti da qui, ma la giornata afosa e solare è diventata afosa e grigia, le nuvole coprono completamente le Vette, meglio rinunciare alla forcella e a quel che si trova dietro, Malga Scarnia, i pascoli, le pareti rocciose… e sopra, verso il Monte Ramezza, la Giazèra, la grande caverna posta a 1826 metri da dove un gruppetto di uomini, nell’estate del 1921, cavavano i blocchi di ghiaccio per la Birreria Pedavena. Allora si calavano nel foro per due metri e trovavano il ghiaccio, da portare giù a spalla (35-50 chili a testa, il contratto prevedeva portassero 15 quintali di ghiaccio cristallino al giorno), ora ci si deve calare nel foro per più di otto metri. Pianto un paletto virtuale.
Scendo velocemente e arrivo al bivio di Fornaci in meno di un’ora, così più avanti mi concedo la breve deviazione sul sentiero per Casere Rombaldi prima di riprendere la stradina forestale e tornare alla mia auto.
esplorando…
E’ ancora presto, così arrivata a Vignui approfitto per esplorare una stradina, via Costa Solana, la volta scorsa un signore mi aveva detto che porta verso la Val Sorda e il monte Pafagai. Salgo per poco, al bivio (a sinistra si va a Pren e Lamen, a destra si continua in salita verso il monte) sono attirata da un paio di sculture di legno e da un cartello: “Museo Scarpe al Sole ed Etnografico” e svolto nel cortile di una casa rurale, abbellito da magnifici fiori.

Chiedo informazioni a un tizio su un trattore e con mia sorpresa l’uomo scende dal mezzo, che lascia in moto, mi apre il suo “Ecomuseo”, uno stanzone pieno zeppo di reperti della I^ Guerra e si prodiga in spiegazioni. E’ un signore molto simpatico, negli anni ha raccolto tantissime cose, non solo armi, proiettili, bombe, maschere antigas, elmetti ecc. ma anche attrezzi di vari mestieri ormai non più in uso, tutto ordinato in scaffali gremitissimi. Sono molto contenta di aver trovato questo piccolo gioiello, voglio tornarci con più tempo perché la raccolta è molto interessante. Ho visto qui anche un libro, “Sort, storia di un’agricoltura eroica” di Antonio Tatto e appena arrivata a casa l’ho prenotato alla Libreria Campedel. Storie e immagini di queste “terre alte” dove le persone, uomini, donne e bambini, si recavano a falciare ogni fazzoletto di erba abbarbicato sulle crode. Escursione e cultura, cosa volere di più? Sono in vena di vagabondaggi, in auto scendo da Vignui e prendo la stradina che va a Umin (vedo un’altra magnifica villa, oltre a Villa Bellati), sfioro la strada per Castel Lusa e salgo a Lasen e da qui seguo altre vie secondarie che mi portano in frazioni pedemontane minuscole e mai toccate prima dai nomi stranissimi Arson, Grum (pare siano toponimi derivati dall’etrusco-latino), fino a arrivare a Montagne e scendere all’inizio della Val Canzoi.
Sosta per una buona birra da Rosario a Toschian e ritorno a Belluno via San Gregorio, Cesio Minore e Maggiore, Sospirolo, Mas, Chiesurazza, Sois, Mier.
Fine.
la storia della Giazèra di Ramezza:
https://www.ecodelledolomiti.net/Num_7/Num_7_Ita/QUANDO-LA-MONTAGNA-UNISCE-GLI-UOMINI-Vittorino-Mason.html“La Giazzera del Monte Ramezza da L’eco delle Dolomiti numero 7
Di Vittorio Mason
La storia della giazzera del Monte Ramezza, ha inizio nell’agosto del 1921 quando un manipolo di una quindicina di uomini di Lasèn, un paesino alle pendici meridionali del Monte S. Mauro (Alpi Feltrine) reduci dalla guerra e ridotti alla fame, viene assoldato da due intraprendenti personaggi del posto: Giosuè Miniati e Umberto De Paoli, per cavare ghiaccio per conto della Birreria Pedavena. I due avevano stipulato un accordo con i fratelli Luciani della birreria garantendo ogni giorno 15 quintali di ghiaccio cristallino, senza neve, che doveva pervenire alla pesa pubblica di Pedavena ogni giorno. Il pagamento doveva venire alla fine della consegna dei 150 quintali richiesti, calcolando un valore di L.35 a quintale, quasi 15 lire più di quanto si pagava quello industriale. La birreria avrebbe consegnato ai cavaghiaccio 30 sacchi robusti che servivano per coprire il ghiaccio durante il trasporto e un segone a mano. Terminato il lavoro a tutti i lavoranti sarebbe stata offerta in ditta una merenda con due “grandi” di birra.
Durante la guerra del 1915-18, dopo la disfatta di Caporetto, Feltre e Belluno si trovarono sotto il dominio delle truppe austro-asburgiche e nel 1918 queste prelevarono tutto ciò che c’era di metallo per asservire l’industria bellica. Alla birreria vennero requisiti tra le altre cose gli impianti di refrigerazione bloccandone la produzione di birra che a quei tempi si aggirava in circa 30.000 ettolitri annui. Le vicende della birreria si agganciano alla caverna di Ramezza, già conosciuta nella metà del 1800, al bisogno di lavoro della povera gente dei paesini montani. Parte così “L’estate di ghiaccio” di questi uomini che per una quindicina di giorni salirono e scesero per la Valle di S. Martino e la Val Fratta e poi il Valòn del Peròn fino alla grotta del Giazzera per prelevare il ghiaccio e portarlo giù. Slitta in legno di frassino in spalla (circa 30 chili) partivano da poco dopo la calchèra dove ci sono ancora dei muretti a secco che servivano come deposito per il ghiaccio, e salivano fino ai 1860 metri della Giazzera. Qui si calavano in grotta con un breve salto e dopo il cono nevoso si piazzavano nel vasto salone di ghiaccio dove estraevano i blocchi. Si dice che i blocchi pesassero mediamente dai 35 ai 50 chili e per ogni viaggio ne portassero a valle sei otto pezzi. Che forza bestia dovevano avere questi uomini, ma forse era la forza della disperazione! Una volta portati giù i blocchi venivano caricati sui carri di legno e trasportati con i buoi fino a Pedavena lungo la Val S. Martino e attraverso i paesini di Vignui e Pren. Fatto il primo giro, dopo una parca merenda, i cavatori risalivano ancora una volta fino alla Giazzera dove trascorrevano la notte all’addiaccio arrangiandosi con qualche telo, dormendo sotto un anfratto. Il mattino dopo all’alba scendevano giù con il carico, risalivano e scendevano un’altra volta. Un lavoro duro, strenuo che era allietato dall’idea che ognuno poteva portare a casa un buon gruzzoletto per sfamare la famiglia e dall’atmosfera animata che avvolgeva quei luoghi in quel periodo. Si deve pensare che oltre ai cavatori di ghiaccio, boscaioli, carbonai, la gente che andava a pascolo con le mandrie di vacche e pecore, c’era la vita di malga (ce n’erano almeno 15 di Ere, malghe, in quel vallone) insomma tutto un brulicare di volti, voci, umori, canzoni, storie e chiacchiere che animava e dava colore a quel povero mondo di “ultimi” reduci da una guerra che aveva messo in ginocchio tutta l’economia. Fu una stagione breve, una storia che si ricorda poco; ora la Giazzera riceve visite solo da qualche escursionista particolarmente curioso e attento o dagli speleologi, ma quel breve lasso di tempo consumato in un su e giù di slitte e ghiaccio sulle spalle, riecheggia e riverbera ancora le imprecazioni, le risate, il sudore, lo sforzo di tutti quegli uomini che per necessità hanno tracciato la via della montagna. Risalendo la Valle di S. Martino, nel silenzio dei boschi di faggio, par di sentirle e vederle ancora quelle voci”.
Autore/i: Paola Marini Gardin
E voi ci siete stati? Mi lasciate un commento qui sotto?
Pubblicato da Salvatore Stringari
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non conosco questo luogo,che pace!
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non lo conosco neanche io Olga merita sicuramente un incursione da parte mia prima o poi Grazie del tuo commento…
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Splendide foto e splendido post, complimenti! 🙂
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Grazie WWayne
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Sempre molto interessanti i tuoi articoli 😉 Ciao Sal
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questo articolo è della coautrice del blog: Paola Marini Gardin, ti ringrazio comunque dell’apprezzamento che giro alla coautrice… a presto
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Grazie doppio allora 🙂
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che spettacolo! da veramente un gran senso d ipace e relax
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è si luoghi fantastici, grazie del tuo commento.
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grazie per i complimenti, mi fa piacere che questi luoghi vengano apprezzati!
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Ciao, scusa se mi permetto di correggerti. La casera che dici che sia Ramezza bassa in realtà è la casera dei boscaioli… Per andare a Ramezza bassa devi prendere il sentiero a destra guardando la casera dei boscaioli.
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Ciao Mi, leggo comunque che lo dice: “dovrebbe essere Malga Ramezza Bassa a quota 1150 (in realtà la Malga è più a destra, non si vede nemmeno da qui), ma non avendo un altimetro mi sembra impossibile esserci arrivata così presto, non mi resta che fare la prova del nove, come a scuola. Se il posto è questo, verso ovest dovrei trovare una traccia che porta a un ruscello: vado in quella direzione e trovo un piccolo rio saltellante tra i sassi, l’ultima acqua su questo percorso”. giro il tuo messaggio alla autrice del post. Grazie per la segnalazione.
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