
in giro per le Casere del Terne
di: Paola Marini Gardin
Scheda Tecnica Riassuntiva
Data: 22-01-2019
Cima: nessuna
Gruppo Montuoso: Schiara
Cartina: Tabacco foglio 024 Prealpi e Dolomiti Bellunesi
Segnavia: CAI 508 – tracce e sentieri rurali
Tipologia sentiero e difficoltà*: Sentiero Escursionistico: (E) Sentiero privo di difficoltà tecniche che corrisponde in gran parte a mulattiere realizzate per scopi agro – silvo – pastorali, militari o a sentieri di accesso a rifugi o di collegamento fra valli vicine (nella scala di difficoltà C.A.I. è classificato E – itinerario escursionistico privo di difficoltà tecniche).
Quota partenza: 700 m.s.l.m
Quota da raggiungere: 958 m.s.l.m
Dislivello: m. 358
Tempi di percorrenza*: h.4.30 comprese le soste
Giro: circolare Anello
Punti di appoggio: Case Bortot
Acqua, sorgenti: sì fontana a Case Bortot, una prima di Casera Larònch
Località: Bolzano Bellunese, Case Bortot,
Copertura cellulare: sì
Parcheggio/i: sì
Partecipanti: Giuliano DM., Giuliano C., Graziella, Barbara, Ivana, Paola A., Silvano, Paola G.
Nota: * i tempi di percorrenza e le difficoltà sono in base alla propria preparazione psico-fisica e tecnico pratica, conoscenza del ambiente alpino, di progressione, movimento in ambiente alpino capacità di orientamento.
L’escursione in dettaglio:
sono invitata a partecipare a questa escursione alle pendici del monte Terne in compagnia di simpatici amici, girovagando per antichi sentieri che collegano casere isolate o piccoli nuclei di abitazioni, alcune ristrutturate, molte abbandonate e in rovina. Ruderi che testimoniano antichi tempi di dure fatiche per strappare il fabbisogno al magro terreno. Nella rustica, essenziale bellezza delle costruzioni in pietra mi sembra di leggere un rimprovero muto: “Non siamo anche noi Patrimonio della vostra Umanità? Non dimenticateci…”
le Casere del Terne
partiamo da Belluno e ci dirigiamo verso Bolzano Bellunese, voltiamo a destra scendendo a Gioz per poi risalire per la stretta stradina asfaltata che sale a tornanti fino alla località Case Bortot, un caratteristico antico nucleo di case rurali arroccato sul fianco orientale del monte Terne a circa 700 m. s.l.m. Il villaggio merita di essere visitato, come pure il sottostante Vial, altro piccolo abitato oramai abbandonato. Sono le 11.30 quando parcheggiamo nello spiazzo poco dopo la Locanda Case Bortot, da qui sono possibili parecchi percorsi, il più conosciuto è il sentiero che porta al Rifugio VII Alpini sotto la Schiara (Alta Via n. 1), ma non è quello che prenderemo oggi. Ci conosciamo tutti a parte una nuova arrivata, si chiama Paola come me ed entra immediatamente in sintonia con lo spirito del gruppo. Serrati i ranghi, in sette ci accodiamo dietro a Giuliano Dal Mas, la nostra guida. Torniamo indietro di alcune decine di metri e saliamo per la stradina, segnavia CAI 508, che porta al Zìmon del Terne. Dopo poco facciamo una piccola deviazione a sinistra per vedere una bella casera in pietra col tipico tetto fatto di lastre sapientemente accostate, ristrutturata e con uno spazio attorno ben curato, non mancano le piante di rosmarino, salvia, gelsomino, il posto ha una posizione assolata e panoramica. Saliamo sul prato dietro alla casa per ritornare sul nostro percorso passando accanto a altre costruzioni in rovina, le prime a cedere saranno state le travi che sostenevano il tetto che di conseguenza sarà crollato, alla fine restano in piedi gli spezzoni dei muri, l’architrave della porta, le sagome delle finestre aperte come squarci sull’interno desolato.

Continuiamo a salire nel bosco dietro al nostro guru, i sentieri che collegano le varie casere sparse ai fianchi del Terne, un tempo abitate da famiglie numerose, costituiscono un dedalo in cui è facile perdere la giusta direzione, ma noi riponiamo la massima fiducia nel nostro capo branco. La giornata è meravigliosa, il cielo è azzurro intenso e non fa nemmeno granché freddo, il tempo ideale per girovagare in buona compagnia. In mezzo al bosco, alla nostra destra, notiamo diversi terrazzamenti fatti di muretti a secco, in alto s’intravede un’altra casera. Penso ai racconti sentiti dagli anziani: raccontavano della fatica fatta per vivere in questi luoghi e sopravvivere al lungo inverno. Erigere i muretti, portare su con le gerle la terra buona (quella del monte era scarsa e magra) seminare segale, orzo, patate e sperare nella clemenza del tempo, falciare il fieno fino alla sommità del monte, portarlo giù e conservarlo, badare alle bestie, mungerle, fare latte e burro. E non era finita. Bisognava anche approvvigionarsi di acqua, che non sempre era a portata di mano, spesso il compito di scendere fino a valle, dove c’erano i torrenti, era dato ai bambini che aiutavano anche in mille altri modi. E le donne? Che vita dovevano fare solo per lavare i panni, cucinare in stanzette buie e senza camino (il fumo usciva dalla finestra, non senza affumicare pareti e persone) e accudire bestie e familiari.

La finisco, siamo arrivati alla casera sopra i terrazzamenti, Casera Fontana 910 m. s.l.m. Una parte dell’’abitazione è ben sistemata, si vede che i proprietari la usano d’estate e saltuariamente tornano anche d’inverno: un piccolo presepe è esposto sul davanzale interno di una finestra. Visitiamo il luogo con rispetto e poi continuiamo a salire nel bosco di faggi fino ad avvistare una minuscola casera che pare uscita da un racconto per bambini: “C’era una volta una casina, con una porta piccina…” Il posto è bello e ci fermiamo qui, seduti su una panca al sole, per mangiare i nostri panini. Sullo stipite della porta sono incise le date della costruzione e del restauro “C. 1767- R. 1978“ accidenti, sono duecentocinquantadue anni che queste pietre resistono al tempo! Sul prato sono presenti i soliti alberi che sono la “spia” dei luoghi un tempo abitati: uno o più piante di noce, ciliegi, sambuchi, vecchi alberi di pero o melo. Da un grande ciliegio pende il gescòl (l’altalena) e non posso fare a meno di provarla, anche se il ramo a cui è attaccata è secco, ma mi regge. Quando stiamo per ripartire, siamo raggiunti da una coppia e riconosciamo due amici, Franco e Gabriella, sono diretti come noi alla casera successiva dove sono attesi da amici. Riprendiamo il sentiero trovando l’unica fontana provvista di acqua, anche se ghiacciata, trovata in tutto il percorso alto delle Casere. Proseguiamo in direzione nord-ovest, la selvaggia Val Medòn è sotto di noi, a sinistra abbiamo la Talvena piccola alle cui pendici vediamo i piccoli borghi di Schirada e la Fossa, davanti vediamo la Pala Alta e la Pala Bassa, unite dalla forcella. Arriviamo in breve alla bella Casera Laronch a m. 958 s.l.m., ben accolti da un gruppo di persone che ci offrono dei dolci e del buonissimo vino.

La casera è molto accogliente, il fuoco nel larìn (focolare) è acceso e la compagnia molto simpatica. Dalla casera un sentiero prosegue in cengia per poi scendere in Val Medòn, ne faccio un pezzetto solo per ammirare la Pala Alta una po’ più da vicino. Dopo la sosta ci congediamo e risaliamo per un breve tratto, Franco e Gabriella si uniscono a noi. Lungo il sentiero incrociamo due enormi vipere: tranquilli sono scolpite su due tronchi d’albero. Poi pieghiamo verso sud sbucando fuori dal bosco sui prati, una volta pascoli, passando vicino ad alcuni ruderi di casere. Arriviamo al trivio di Castèi, il sentiero di mezzo prosegue dritto in salita verso il Zimòn del Terne, quello più orientale, verso il Monte Serva, porta alle ex casere Mione e a Case Bortot, il terzo scende verso sud-ovest ed è quello che prendiamo. Dopo una piccola sosta per godere il panorama sulla Valbelluna, i monti dell’Alpago, il Col Visentin, le Prealpi fino al monte Tomatico, scendiamo nel bosco fino a un altro bivio, la strada principale porta direttamente al nostro parcheggio, noi deviamo a destra arrivando a un altro gruppo di casere abbandonate, i Valdi. Qui è d’obbligo la sosta “vin brulé” generosamente distribuito da Giuliano Caldart alla compagnia. Riprendiamo la marcia in direzione ovest per il sentiero che scende fino alla Croda Rossa, una scabra parete rossiccia che percorriamo su una stretta cengia attrezzata con funi di acciaio. L’ultima volta che sono stata qui le protezioni non c’erano, passare era più emozionante. Arriviamo alla Casera del Col de la Ròa, abbandonata e con la porta sfondata: all’interno, oltre a indumenti sparsi, ci sono ancora i materassi su due letti gemelli in ferro e alcune suppellettili.

Non riesco a fotografare gli interni, mi sembra di violare l’intimità che la casa non riesce più a custodire. Proseguendo per il sentiero verso ovest superato il costone arriveremmo all’abitato di Scarpòtola e poi a Casera Colò, prendendo verso est arriveremmo al parcheggio, la nostra guida decide per una terza scelta e scendiamo velocemente per un “troi” che Franco e Gabriella conoscono, voltiamo verso est arrivando in vista di un altro gruppo di casere, località La Cela, poste in posizione soleggiata. Ci soffermiamo presso il piccolo borgo, ci incuriosisce una “panchina” dalle proporzioni esagerate su cui ci arrampichiamo per una foto ricordo. Da qui proseguiamo su stradina, ai lati ci sono alcune case abitate, ormai siamo vicini al parcheggio di Case Bortot. Arriviamo alle auto poco prima delle 17, il sole tramonterà fra poco. Ci salutiamo, come sempre promettendo di ritrovarci, contenti di aver passato una giornata splendida e serena.
Autore/i: Paola Marini Gardin
E voi ci siete stati? Mi lasciate un commento qui sotto?
Pubblicato da Salvatore Stringari
© Copyright By Paola Gardin | La Traccia, Escursioni e Viaggi